Giffoni, gli incontri con Carlo Verdone, Massimiliano Gallo e Paolo Ruffini

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Tantissimi in attesa, sotto il sole cocente, davanti al Blue Carpet del #Giffoni53 ad attendere per un selfie o un autografo. Prima il photocall e poi Carlo Verdone, Ludovica Martino e Sangiovanni portano l’energia sul palco e sotto il palco di una Sala Truffaut gremita. La “Vita da Carlo” è fatta anche di incontri e bellezza negli occhi di #giffoners, curiosi di scoprire e sapere cosa nasconde la vita professionale e non dei tre artisti. “Siamo davvero orgogliosi di essere qui – ha esordito Verdone – i giovani sono il futuro del nostro Paese e avere grande cura di loro e delle loro aspettative. Quello che possiamo fare è esaltarli e prendere il più possibile da loro. Loro danno l’energia e io dò loro la mia energia. Se non comprendi il loro mondo non riesci a raccontare storie vere”. Tanti amici nel cast della seconda stagione della serie, tra cui i due giovani: “Loro sono due giovanissimi che mi hanno dato tanta soddisfazione (riferendosi a Ludovica Martino e Sangiovanni), seri, disciplinati e pieni di entusiasmo. Se la serie è venuta bene è anche grazie a loro. Bisogna dare i meriti ai giovani”. Tra aneddoti raccontati dalla voce dei protagonisti che hanno caratterizzato i momenti in cui è stata girata la serie, i presenti in sala hanno potuto ricevere un piccolo regalo: una clip “spoiler” della seconda stagione della serie in onda dal 15 settembre su Paramount+.  Sangiovanni interpreterà un giovane Verdone: “Interpretare Carlo Verdone? Sono onorato di averlo fatto, è stato divertente. Carlo da giovane condivide un po’ di emozioni che Sangiovanni prova tutti i giorni. Mi sono sentito vicino a quel personaggio, è stato bello”. Una chiamata inaspettata per Ludovica Martino: “Non mi aspettavo che Carlo Verdone mi scegliesse per girare qualcosa di suo. Era un sogno irraggiungibile per me. Quando mi ha chiamata è stato pazzesco e mi sono sentita veramente grata ed emozionata. Spero che porti fortuna anche a me come successo con le altre attrici con cui ha lavorato”. Tanti consigli per chi si affaccia al mondo del cinema e dell’arte: “Io sono stato un grande osservatore della realtà, di tipi, i caratteri. Andare nel dettaglio, un difetto farlo diventare grande in un film, andare in fondo. Dalla voce risalivo alla tipologia, costruivo il personaggio così. Partendo dalla psicologia e ci vuole sensibilità nel farlo. Io ho frequentato tanti negozi e artigiani nel mio quartiere e ascoltavo tanti racconti e questo mi ha tanto aiutato. Vai ad incontrare un mondo di proletariato che tu conosci poco ma ti fai una cultura sulla loro vita”. L’importanza di perseguire obiettivi e sogni senza abbandonare il “bambino” che si nasconde in ognuno e soprattutto la propria identità e verità nonostante la finzione: “Anche in età matura un piccolo sogno lo devi sempre avere. Quello che speri possa succedere non succederà e quello che tu non speri succeda invece succede. La vita è sempre così. Ci saranno momenti di gioia ma anche no. La vita è fatta di contrasti ma un sogno bisogna sempre averlo. Io sogno di fare qualcosa di diverso nel mio lavoro, magari rischiando anche di avere poco pubblico. Però a quel punto posso dire di aver fatto vedere un pezzo della mia anima che gli altri non conoscono. I miei libri rappresentano e dicono molto di me. Un atto di coraggio è stato anche interpretare me stesso nella serie, non ho niente da nascondere e di cui vergognarmi. Sono fragile, debole, ansioso, sono divertente però sono vero così.” Un attore quando inizia prende ispirazione da altri, un giurato ha chiesto ai giovanissimi Ludovica e Sangiovanni cosa hanno appreso da Verdone: “Carlo è un regista e attore molto generoso. Lui si dedica agli attori, li mette sul primo piano. Ti permette di lavorare in ascolto in modo sincero – dice la Martino – si crea una magia molto bella con lui. Ci teneva che fosse tutto sincero e anche poco tecnico, che stessimo sulle emozioni di quel momento. Ci ha insegnato tanto anche solo guardarlo mentre fa il suo lavoro”. Sangiovanni ha poi concluso: “È esemplare perché mantenere tutta questa passione è complicato ed è difficile tramandarla agli altri. È stato tutto molto spontaneo con lui, mi sono sentito a mio agio nel raccontare una serie che parla di vita ed emozioni”. Per Carlo Verdone più passa il tempo e “più cerco di essere me stesso, ho abbandonato i personaggi, la maschera cade ad un certo punto. Tu devi andare avanti sinceramente senza pensarci troppo, chi terrorizza gli attori non fa altro che mandarli in tilt ed è una forma sbagliata di dirigere. Bisogna trasmettere una bella atmosfera, senza incutere paura. Ci vuole tanta pazienza, così da ricevere tutto il talento in cambio”. Verdone ha guardato anche ai primi passi del percorso della sua carriera, quando la sua “fortuna” è stata recitare davanti ad un unico spettatore, un critico teatrale. Sullo sciopero degli attori di Hollywood: “Concordo con loro, non va bene. L’intelligenza artificiale è la morte del cinema d’autore. Non è giusto. Questo sciopero è sacrosanto. Se la sceneggiatura la deve scrivere l’intelligenza artificiale noi non ci siamo, basta non può finire il nostro lavoro, non può finire l’arte, la musica e il cinema”. L’incontro in sala Truffaut si è concluso con la consegna dello #specialaward e con un video- omaggio per Verdone che ha ripercorso alcune scene dei tantissimi film che hanno fatto parte della sua carriera. “Sei un’ispirazione per tutti i #giffoners – si ascolta nel video – siamo orgogliosi di averti qui e non vediamo l’ora di vedere la seconda stagione della tua serie”. 

“Sono proprio contento di conoscervi, ditemi i vostri nomi a-uno-uno” – arriva sul palco della Sala Truffaut, Massimiliano Gallo, saltando le scale a-due-a-due” incontro ai jurors che lo aspettano carichi di aspettative. E, le aspettative, non vengono affatto disattese. In assoluto il principe delle fiction, che vive un momento di grande ascesa professionale tra cinema, teatro e tv, una carriera messa in evidenza dalla presa d’assalto sul carpet al #Giffoni53 dove non manca di dispensare selfie, strette di mano e, soprattutto, sorrisi aperti. “È un affetto che sento, tangibile e, infatti, io le persone dopo gli spettacoli le tocco, le abbraccio proprio”. Inizia a recitare da piccolissimo, all’età di cinque anni in una sorta di iniziazione, e a chi tra i ragazzi gli chiede come abbia imparato a gestire emozioni e consapevolezza nel tempo, una risposta su tutte è assoluta: “Con l’istinto. Crescendo non ci sono mai stati dei dubbi, io volevo proprio fare questo, ma a volte si dà per scontato il percorso” – soffermandosi a dispensare anche consigli a chi vuole iniziarlo questo percorso: “Capisci di avere il fuoco dentro quando senti di non poter fare altro, per cui ti prenderai le mazzate, assisterai a episodi di non-meritocrazia, ma tu continuerai” – e aggiunge, facendo un volo pindarico nell’album dei ricordi: “Ho iniziato 35 anni fa col cabaret, ci esibivamo anche nelle birrerie con mio fratello e senz’altro questa gavetta mi è servita a farmi le ossa. I percorsi vanno visti sulla lunga durata, lì si capisce se si tratta di una stella o di una chimera”. A metà settembre torna a Salerno per girare la seconda stagione della serie TV di Vincenzo Malinconico, avvocato d’insuccesso, figlio della penna di Diego De Silva. Un personaggio goffo e imperfetto a cui è affezionato per un motivo in particolare: “Credo abbia fatto bene un po’ a tutti, nella sua imperfezione. Oramai raccontiamo un mondo che non c’è e in questa ricerca spinta della perfezione a tutti i costi, i ragazzi invece devono capire che i punti forti sono proprio i difetti”. In un gioco di ruoli al contrario, invita a mettere in discussione, finalmente, gli adulti: “Probabilmente vi abbiamo consegnato un mondo sgangherato. Ai miei ragazzi, Leon di 11 anni (figlio della sua compagna che è anche qui con lui) e Giulia di 21, insinuo spesso il beneficio del dubbio rispetto a ciò che dico. Ecco, contestate chi ha tutte queste certezze, ma non per diventare anarchici, quanyo per far sentire che avete voce in capitolo”. A proposito di sua figlia, nello svelare una curiosità che l’ha vista ex-giffoners per qualche anno, racconta per bocca sua: “Una delle esperienze più belle e formative che abbia mai vissuto. Dopo Giffoni non si torna indietro, un’idea così geniale che unisce menti e popoli. Spero non abbia mai fine, è il luogo delle opportunità”. Rimarcando il rapporto padre-figli, da figlio d’arte, è inevitabile il paragone con il suo papà, Nunzio Gallo, ma riconosce che sarebbe assai difficile, presto o tardi, interpretarlo: “Entrerebbero in gioco troppe variabili, ma mi piacerebbe venisse raccontata la storia della persona molto umile che è stata, con una carriera che parte da lontano, fin da quando gestiva con mio nonno una futteria in Vico Sette Dolori, nel cuore pulsante di Napoli. Ecco, questo potrebbe essere di esempio per far capire alle nuove generazioni che non tutto quello che sembra segnato resta così, irreversibile”. A suo padre, con un velo di commozione, riconosce il grande entusiasmo che gli ha trasmesso: “Lo ringrazio, pubblicamente, perché ha mantenuto viva in me la forma del gioco. Sembro sempre al primo giorno di scuola quando mi presento al lavoro”. La voglia di mettersi in gioco, la curiosità, la passione e la gioia di vivere prendono per mano la sua voglia di restare bambino e di “non prendersi troppo sul serio” – piuttosto – “come i bambini, rischiate, non restate nella vostra zona di comfort, siate curiosi di fare nuove scoperte, di cadere e rialzarvi”. E la parola gioco torna sovente nella chiacchierata dove viene fuori tutta la sua verve comica, che lo ha fatto conoscere agli amanti della commedia classica, apprezzata anche dai giovanissimi, non in ultimo nella rivisitazione di Filumena Marturano (prodotto Rai), nelle vesti di Mimì Soriano, in assoluto tra i filmati più scaricati su TikTok proprio dai più giovani: “Il comico ha un ruolo nobile: è un angelo che deve volare alto”.

Mattatore. Paolo Ruffini tiene tutti incollati alla sua conversazione brillante, e alle poltrone della Sala Verde della Multimedia Valley, durante il workshop in programma nella quarta giornata del festival. Il regista, attore e produttore italiano si sottopone con irriverente ironia riflessiva e con dovizia di competenza al fuoco amico dei giffoner della sezione+18. Le domande sono tante. Attraversano il mondo della celluloide con un moto di interrogazione a trecentosessanta gradi. Le sue risposte vanno sempre al punto. Punto per punto chiudendo il cerchio del ragionamento e aprendo nuovi fronti di confronto. Spettacolo nello spettacolo a #Giffoni53. “Sono a tutti gli effetti uno spettatore professionista di cinema” esordisce Ruffini. “Amo la dilatazione orizzontale dell’immagine perché consente di ammirarla perdendosi dentro. Oggi, complice alcune specifiche piattaforme social, ci stiamo abituando al taglio verticale che sottrae contenuti allo sguardo. Ma noi, tutti noi, giovani e adulti, dobbiamo continuare non solo a guardare ma anche a pensare e a sognare orizzontale”. Questo perché “ognuno di noi, pensateci bene, sogna in orizzontale. Perciò il cinema è un grande, meraviglioso sogno a occhi aperti”. Dal teatro alla radio, dal grande al piccolo schermo: Ruffini ha prestato la propria opera professionale a strumenti e linguaggi di comunicazione differenti. Sempre con riconosciuta gentilezza e delicatezza autoriale anche quando si è dedicato a tematiche sociali delicate, come ad esempio il bullismo nella pellicola Il Ragazzaccio presentata proprio a Giffoni lo scorso anno. “Non ho risposte eroiche per spiegarlo” chiarisce subito. “Mi muove semplicemente la curiosità. Sviluppo i temi senza fare il figo sul piano autoriale e senza mettere il coperchio sulla emotività. Mi piace fare ridere e piangere il pubblico. Lo ritengo un dovere”. Secondo il poliedrico artista classe 1978 il cinema, per dirla con Truffaut, è “una notizia che non finisce mai”. Come il teatro, d’altronde: “Non so se tra cento anni ci sarà ancora Tik Tok. So per certo che ci sarà il teatro,  autentico metaverso della realtà”. Ruffini afferma di voler aggiungere “un po’ di fantasia” al cinema italiano perché “tende a preferire il già noto, la strada già battuta, il remake di un film straniero, alle idee originali. Non c’è voglia di sbagliare” taglia corto per poi ironizzare sulla mancanza di buone maniere nella società contemporanea: “Vorrei fare un film di fantascienza in cui le perone sono gentili. Resto sempre profondamente stupito quando qualcuno lo è senza conoscerti“. Dalla vita reale a quella sul set: “Il narcisismo può creare conflitti tra produttore e regista come tra quest’ultimo e gli attori” annota. “Bisogna avere la capacità di fare un passo laterale. È come in una storia d’amore: l’eccessiva proiezione egoica rischia di rovinarla”. Le riflessioni filosofiche si alternano ai giudizi  tranchant. Soprattutto nel caso del politicamente corretto: “Il cinema è arte e l’arte non è politicamente corretta. Se fosse così, oggi non potremmo ammirare e studiare i capolavaori di Pasolini, pellicole come  Ultimo tango a Parigi e nemmeno i film di Fantozzi. Siamo alla follia. L’arte è libertà”. Il tempo passa e l’attenzione resta alta. Siamo ai titoli di coda. Al gran finale. Ruffini si alza in piedi e, un attimo prima di salutare i giurati stringendo mani e firmando autografi,  dichiara amore eterno al festival: “Giffoni è gentilezza, sorrisi, abbracci. A chi soffre di ansia e di infelicità posso solo consigliare di venirci: in questo posto ti senti bene e ti torna la fiducia nel genere umano”.