Sabato 3 dicembre, alle ore 21.15, al Teatro Genovesi a Salerno (via Sichelgaita) debutta “Rapsodia in nero. Maschere di fango”, lo spettacolo di Carmine Tavarone che dichiaratamente s’ispira alla vicenda narrata da Francesco Mastriani in “La Medea di Portamedina”, da cui mutua i nomi dei personaggi.
La regia è di Marcello Andria. I movimenti scenici sono di Antonella Iannone; la scenografia di Alfredo Marino e i costumi di Angela Guerra. Si replica domenica 4 dicembre, alle ore 19, e il prossimo fine settimana (sabato 10 e domenica 11 dicembre). Per info e prenotazioni: 338 2041379.
Ci sono una data e un luogo che diventano un riferimento narrativo: Napoli 1936. Il regime fascista, nella fase di apogeo, celebra i suoi fasti con la conquista dell’Etiopia, raccogliendo un consenso pressoché unanime e impegnandosi, sul fronte interno, a cancellare anomalie e brutture che possano appannare l’immagine di uno Stato esemplare, fondato sull’idea tradizionale di famiglia. Su questo sfondo si consuma l’epilogo della triste vicenda di Coletta Esposito, una giovanissima figlia del popolo abbandonata dalla madre in tenera età e a lungo rinchiusa fra le mura di un ospizio per fanciulle sole.
A Felice Avella, Maurizio Barbuto, Rossella Cuccia, Lea Di Napoli, Alfredo Marino, Mariorosaria Milito e Marida Niceforo (in veste anche di musicista) il compito di portare in scena una storia di oscura drammaticità, sospesa fra l’orrore per i crimini perpetrati e la compassione per le violenze e le sopraffazioni subite. Nella sua inesorabile e già segnata rovina, Coletta si è aggrappata fiduciosa a un uomo, Cipriano Barca, illudendosi di poter riscattare in un amore esclusivo i torti e le privazioni accumulati negli anni dell’adolescenza. Quando anche questo ennesimo inganno si svelerà in tutta la sua crudezza, lacerata dalle troppe sofferenze e accecata dall’odio, non troverà altra via di uscita che la più atroce e spietata delle vendette, quella, duplice, della Medea di Euripide. Coletta è un’eroina tragica, “al nero”, come preannuncia il titolo della pièce, circondata da personaggi insidiosi, ambigui se non palesemente negativi, che l’hanno abbandonata o hanno approfittato di lei.
“In una soluzione che, alludendo a distanza al Teatro-inchiesta, sovrappone di continuo i piani della narrazione amalgamando cronaca e flashback – scrive Marcello Andria nelle sue note – la regia tende a sfumare i contorni più cupi e duri, posando uno sguardo pietoso sulla marginalità degli ultimi e sulla emblematica figura centrale, che riassume in sé le vessazioni di cui le donne sono fatte oggetto da secoli. Un ruolo non secondario gioca la colonna sonora, rigorosamente d’epoca, che accompagna dal vivo e commenta con intonazioni delicate il tragico evolversi dalla storia di Coletta”.