di Gilda Ricci
Docenti, dirigenti,studenti e molti genitori sono in questi giorni di fine estate in attesa dell’ennesima Riforma scolastica.
I parti estivi sono sempre quelli della riflessione, della sorpresa, dell’attesa, nell’avvicendarsi di Ministri e Sottosegretari, meno di funzionari e dirigenti o di qualche Commissione speciale di saggi e sapienti, che puntualmente mantengono il mondo della scuola , a ripresa di anno scolastico, con il fiato sospeso.
Certo la lamentazione di una scuola che non è di qualità , tra gli ultimi posti nella classifica OCSE-PISA, non ci fa onore. Poi però parliamo con gli studenti, con le loro famiglie e ci dicono che nonostante tutto la scuola per loro resta un’importante luogo di cultura e di conoscenza.
I più critici sono proprio gli addetti ai lavori e i sindacati che manifestano malcontento e ostruzionismo “a prescindere” anche se non conoscono ancora i veri contenuti di una Riforma che verrà e che per ora rappresenterebbe soltanto un Piano di “linee-guida”.
Eppure le “linee – guida” sono già nella terminologia scolastica definite quelle Indicazioni programmatiche che nella scuola dell’Autonomia (ormai datata del 1999-2000) ha reso meno prescrittivi e più operativi programmi obsoleti , che però migliaia di docenti continuano a ritenere Vangelo laico della propria disciplina.
Gli unici più adeguati al cambiamento sono gli editori, che ogni anno modificano i libri di testo, li adeguano con gli e-book e materiale multimediale , che puntualmente non viene utilizzato dai più.
Riforma? Linee-guida? Decreti estivi o autunnali? Ogni volta un cambiamento annunciato e spesso poi subito.
Il grande anello debole della filiera scuola , resta quello dell’informazione e della formazione, di un aggiornamento del personale, che è ancora facoltativo e individuale, sempre meno collettivo, condiviso e finalizzato. Finora, nella scuola, si è aggiornato soltanto chi, a spese proprie, lo ha voluto fare.
In futuro, in base alla proposta del Piano-Scuola, l’aggiornamento professionale potrebbe diventare obbligatorio e lo stipendio potrebbe essere agganciato alla misurazione di quanto il docente riesce a fare migliorare le performance degli alunni. Ma il governo è intenzionato ad agganciare gli stipendi degli insegnanti ad una qualche forma di merito o carriera? L’unica categoria che non sa cosa significhi “progressione di carriera” è quella dei docenti che possono soltanto se titolati, o vincitori di vari concorsi, passare da un ordine all’altro di scuola, diventare dirigenti (se non si rischia il blocco dei concorsi e se i concorrenti sono soprattutto dei grandi esperti di test a risposta multipla e chiusa) e rischiare anche di non andare in pensione se hanno iniziato a lavorare troppo giovani.
Insomma una soluzione si dovrà pur trovare per valorizzare, come avviene in tutti i Paesi del mondo, e non solo in Europa o in Finlandia , la “professionalità docente”!
Certamente i docenti non sono tutti uguali, non hanno tutti lo stesso curriculum vitae, frequentato le stesse ore e gli stessi corsi di formazione, ma quando un Ministro qualche anno fa si permise di proporre una valutazione dei docenti, le masse degli stessi gli si rivoltarono contro , felici di sentirsi “tutti uguali” e soprattutto di mandare a casa il Ministro.
Chi lo ha succeduto si è divertito molto a far di testa sua senza neanche interpellarli più i docenti. Oggi molti operatori della scuola vorrebbero giustamente essere consultati. Siamo in democrazia vero? E quanti saranno d’accordo a sottoscrivere anche a distanza di qualche decennio una proposta di valutazione e differenzazione dentro una categoria divisa in appartenenze a vari sigle sindacali o a nessuna?
Quella dei supplenti appare poi una proposta anch’essa complessa. Assorbire in un organico funzionale ( anche questo già sperimentato con un ex- Ministro lungimirante ma incompreso) tutti i precari diventa operazione difficile , sulla quale qualche sindacalista con esperienza e competenza su campo potrebbe essere di aiuto.
Per rilanciare la scuola il governo continua a ricordare a tutti, addetti ai lavori e non , che esiste una legge sull’’autonomia, che consente di ampliare i confini e i limiti della vecchia scuola. Ma, nei fatti, mancano le risorse – economiche e di personale – per concretizzare un modello di scuola più adeguato ai bisogni degli studenti, delle loro famiglie e soprattutto di una conoscenza che unitamente ad abilità e competenze offra a tutti le stesse opportunità: quelle di spiccare il volo anche se sei una gabbianella che ha un gatto per insegnante come nella famosa storia, non solo per bambini ,di Luis Sepúlveda.
Tra le varie proposte quella di potenziare l’alternanza scuola-lavoro, per ridurre l’abbandonano scolastico e offrire al mercato le professionalità che le aziende non sempre riescono a reperire.
Ma la legge che apre anche ai Licei, oltre che agli Istituti Tecnico – professionali la possibilità di svolgere attività di alternanza scuola-lavoro, non è già in vigore dallo scorso anno? Occorrerebbe forse prendere spunto da quella formula che i finlandesi definiscono “vocational school”, che consente agli studenti di seguire un’inclinazione, una passione, un indirizzo di studi che corrisponda ad essa.
“Portare a quattro anni il ciclo delle medie superiori per equiparare l’età di congedo scolastico a quella di molti altri paesi non può essere il frutto di un calcolo da spendig review”, ribadisce la Giannini. “Ci vorrà molto tempo per mettere a regime la nostra proposta, ma non dobbiamo guardare ai prossimi mesi. L’orizzonte è quello dei prossimi trent’anni. Chi nasce oggi va a scuola nel 2018 ed esce nel 2038. La scuola che cambiamo adesso arriverà a destinazione allora”.
E basterà ridurre il ciclo di scuola superiore per migliorare questo anello debole della nostra scuola italiana?
Naturalmente in attesa di conoscere meglio i dettagli del Piano- scuola Renzi- Giannini, lasciamo ai posteri l’ardua sentenza.