Calendario rituale – La Madonna di maggio

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di Pasquale Martucci

Il nome maggio nell’antico calendario romano è maius, così detto in quanto dedicato alla divinità latina Maia, dea dell’abbondanza e della fertilità, che rappresenta la grande madre terra, la madre di Mercurio, a cui il mese sarebbe stato dedicato; per altri è consacrato al dio Apollo. Nella cultura cristiana maggio è il mese della Madonna in cui è centrale la devozione del Santo Rosario.

La primavera, che nei mesi precedenti era solo accennata, diventa conferma, con la fioritura, l’esplosione della natura, il risveglio completo che segue la sonnolenza di aprile e che precede il periodo estivo. Il pulsare della vita ritorna con i suoi riti negli orti e nei campi; l’aria si impregna dei profumi dei luoghi; i suoni sono caratterizzati dai vocii all’aperto, nelle serate tiepide e dalle preghiere attorno agli altari.

È il mese della rosa e dell’amore: il fiore da sempre è associato alle due figure antitetiche di Venere e della Madonna, che rappresentano il mondo della femminilità, della bellezza senza tempo, della purezza, dell’eleganza, e dell’amore, sia quello innocente che quello passionale, assumendo così segni ambivalenti. Ogni singola specie racchiude un significato preciso: la rosa bianca simboleggia la purezza, la castità, la segretezza e il silenzio; quella color rosa, l’amicizia e i buoni sentimenti; la rosa gialla rappresenta invece la gelosia, la vergogna, l’inganno e l’infedeltà; quella rossa significa amore puro, eterno e ardente, la passione; l’arancio parla di energia e forza; infine la rosa blu raffigura il mistero e la saggezza.

Fino alla metà del secolo scorso, maggio era ricco di riti, usanze e consuetudini: dall’albero de maio, che rappresentava la forza della nuova vegetazione, alla lode delle putele, la tradizione di contrassegnare con rami o altri simboli di lode le porte delle ragazze da maritare. Nei rituali romani i giovani maschi preparavano i “magi” da offrire alle ragazze prescelte che ricevevano dolci, ciambelle, confetti, fiori, rami d’albero impreziositi con nastri e fiori. Il Calendimaggio o Cantar maggio è una festa stagionale, un rituale di gioia e di abbondanza, con feste e sagre paesane, un momento di scambio e vendita delle primizie di stagione: asparagi, piselli, ciliegie, fragole, ma anche il ritorno alla socialità.

Luigi Leuzzi ha dato rilievo nei suoi lavori (1) alla Grande Madre, la divinità femminile primordiale che rimanda al simbolismo materno, alla nascita, alla fertilità e alla sessualità, ma anche al nutrimento (terra) e alla crescita. Era il ciclo di nascita-sviluppo-maturità-declino-morte. Ora, tra le dee, cui il territorio fa riferimento, ci sono: Afrodite/Venere, l’amore sessuale; Demetra/Cerere, la fecondità; Persefone/Proserpina, la fertilità dei campi; Hera/Giunone, la genitrice. La Grande Madre è anche legata alle origini matriarcali delle civiltà agricole.

Nel Cristianesimo, è la venerazione della Vergine Maria, che si prende cura dei figli. Nella tradizione religiosa si dice: fare il mese di maggio, cioè prendere parte alle funzioni religiose, alle preghiere e agli atti di pietà con cui la Chiesa cattolica onora la Madonna.

Nella antica tradizione cilentana si parlava del culto delle sette sorelle, dei santuari dedicati alla Madonna. Fino a qualche anno fa alcuni studiosi hanno cercato di ricondurre alle sette Madonne il modo di aggregare “un’area culturale omogenea”. (2)

Si tratta della visibilità da una certa prospettiva di una serie di Santuari (per l’appunto sette) o meglio della consapevolezza che esistono, che servono quasi a proteggere le popolazioni dalla presenza delle avversità per la loro collocazione sulle vette di monti e colli. Le Madonne considerate, anche se di Santuari ne esistono molti altri, sono: la Madonna del Sacro Monte (Novi Velia-Monte Gelbison); la Madonna del Granato (Capaccio-Monte Calpazio); la Madonna della Stella (Sessa C.to-Monte Stella); la Madonna della Neve (Piaggine, Sanza-Monte Cervati); la Madonna della Pietrasanta (S. Giovanni a Piro-Monte Pietrasanta); la Madonna della Civitella (Moio della Civitella-Monte Civitella) e la Madonna del Carmine (Catona-Monte del Carmine). (3)

Il Monte della Stella, per fare un esempio, era conosciuto come “Monte Cilento”, sul quale un monaco costruì intorno all’anno mille una cappella (Santa Maria della Stella), detta comunemente ‘a Maronna ra Stella. Su di essa ci fu la presenza prima di eremiti, poi dei padri carmelitani fino all’inizio dell’ottocento. Nel 1807, la stessa fu incorporata nei beni dello Stato. Dal 1820 la chiesa passò dalla famiglia Del Giudice al sig. Pompeo Lebano e, infine, ai fratelli De Feo di Omignano che, dopo aver ripreso la statua della Madonna, la tennero con sé per preservarla da atti vandalici. La chiesa è situata a 1131 di altezza s.l.m. ed è composta di una sola navata ampia e alta, ma priva di infissi. Nel muro orientale della navata, ad un’altezza di circa 4 metri si trova una nicchia dove era conservata la statua della Madonna. (4)

Anticamente, quando la statua restava in chiesa, molti pellegrini a piedi si recavano sul Monte preceduti da un quadro pesante con l’effigie della Madonna, portato in testa dalle donne e seguito dalle cente in ex voto per grazia ricevuta o da ricevere. La persona che chiedeva un favore o faceva un voto di solito portava la centa in testa ed a volte camminava scalza in segno di devozione. Più numerosi erano questi simboli di fede più era profondo il senso religioso. Giunti sulla vetta, prima di recarsi in chiesa, occorreva percorrere nove giri intorno al tempio, cantando inni alla Madonna. In chiesa, le donne approntavano l’altare e sistemavano la statua nella nicchia in mezzo ai fiori. Sia davanti al Santuario che durante l’ascesa al Monte, nei tratti pianeggianti e presso le sorgenti, si effettuavano una serie di riti e di manifestazioni che rappresentavano una commistione di sacro e profano: accanto ad immagini e oggetti sacri si vedeva la presenza di “zufoli, tamburi, danze, libagioni e pratiche propiziatorie”. (5)

L’aspetto propiziatorio si concretizzava nello sfregamento del ventre da parte delle donne sulla preta ru mulacchio, oppure nel rito della preta ‘nzetata. Sul Monte, si trova un poggio che si affaccia su uno strapiombo di circa 8 metri. Perpendicolare ad esso vi è una roccia in cui è situato un buco naturale di circa 20 centimetri di larghezza ed altrettanti di profondità (“a preta ‘nzetata”). Le donne raccoglievano 9 piccole pietre e da una distanza di circa 10 metri dal buco le lanciavano in esso. Ogni pietra che non entrava nel buco rappresentava ancora un anno di attesa per sposarsi. (6)

Le Madonne più importanti del territorio sono tante, anche se i Santuari ancora oggetto di pellegrinaggio si sono ridotti a causa sia di una perdita del valore del culto che del pericoloso abbandono cui sono state ridotte le strutture. Il Santuario però ha sempre rappresentato per il pellegrino un alto momento di fede e di profonda libertà interiore. Le immagini ricordo della Madonna portate al ritorno erano il segno “di un momento di grazia intensamente vissuto e del quale si voleva rendere compartecipi gli altri”. (7)

La religiosità mariana è spiegata per il ruolo che la stessa dottrina ha conferito a Maria, il tramite per potersi indirizzare a Dio: “Egli, infatti, si è servito di questa donna per generare il Figlio, per incarnare il Figlio”, come risulta dagli attestati di fede che si sono riscontrati attraverso alcune interviste realizzate nel territorio. (8)


Dalla tradizione popolare


MAGGIO


(inghirlandaro di fiori, raglia imitando il verso dell’asino ed indica tutti i presenti)


Io so’ Maggio, e so’ lu maggiore re tutti,

metto in frutto tutti st’alimenti.

Fazzo fiurì valli, fiumi e ruscelli

ca tutti sti signuri stàno allegramente.

Fazzo fare tante erbe pe’ sti muntagne,

ca pure li ciucci stàno allegramente!


Note:


  1. Cfr.: Leuzzi L., Un’anima, un luogo, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, 2010; Leuzzi L., Il Cilento. La Grande Madre, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, 2014; Leuzzi L., Il Cilento, un’isola. Iterazioni e comparazioni identitarie, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, 2017; Leuzzi L., Architettura sacra del megalitismo nel Cilento. Digressioni in tema di identità, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, 2019.
  2. La Greca A., Guida del Cilento. Il Folklore, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, 1993, p. 101.
  3. Sulle Madonne nel Cilento e sulle ricerche realizzate nel territorio, cfr.: Martucci P., Di Rienzo A., Il sacro e il profano, Ed. Studi e Ricerche, 1999.
  4. Dentoni Litta F., Antiche tradizioni del Cilento, Ed. CI.RI., 1986, pp. 62-63.
  5. De Marco R., Il Monte della Stella nel Cilento Antico, Ed. CPC, 1994, p. 35.
  6. Ivi, p. 38.
  7. Della Pepa S., Intervento al “Congresso Mariano”, Vallo della Lucania (SA), anno 1987-88.
  8. Domenico M. Fiore, Intervista, Capaccio, 27 marzo 1999.