“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Sono i famosi versi del Canto XXVI dell’Inferno della “Divina Commedia di Dante Alighieri, che sono stati recitati dal professor Aniello Di Mauro , tra gli olivi e i pini secolari dell’azienda vitivinicola “Le Vigne di Raito” della dottoressa Patrizia Malanga che ha ospitato l’interessante incontro di cultura organizzato dal professor Antonio Gazia e da Alfonso Vincenzo Mauro, direttori artistici dell’associazione culturale vietrese “La Congrega Letteraria”.
Il professor Di Mauro, già docente di latino e greco nei licei salernitani, ha ricordato le celebrazioni in atto per il settecentenario della morte di Dante Alighieri che morì di malaria, a Ravenna, nel 1321, all’età di 56 anni. “Dante, benché tutto immerso in un ordine passato, così remoto da noi per le sue concezioni, per i suoi ideali, per i suoi sentimenti, può parlarci ancora, esprimere qualcosa che ancora tocchi le nostre menti, i nostri cuori, la nostra fantasia, la nostra intelligenza”. Il professor Di Mauro, ha spiegato che nell’Inferno di Dante la realtà stessa della vita infernale si confonde in qualche modo con quella della sua vita reale: ” Nel disordine infernale egli vede rispecchiarsi proprio il disordine e l’anarchia delle condizioni dell’Italia e dell’Europa del suo tempo”. Proprio all’inizio de Canto XXVI, approfonditamente spiegato dal professor Di Mauro, Dante scaglia delle invettive contro la sua amata e ingrata Firenze che ne decretò l’immediato esilio: ” Dante, come dice la studiosa Silvia Rizzo, parla sempre della patria perduta con un sentimento d’ira mista ad amore dolente e tradito”. Il professor Di Mauro si è soffermato a spiegare la similitudine delle lucciole, che ha definito “Una tra le più belle del poema”, attraverso la quale Dante descrive le miriadi di fiamme che si muovono sul fondo dell’ottava bolgia tra le quali vi è anche la fiamma, sdoppiata in punte, che fascia le anime di Ulisse e Diomede: ” Due figure mitiche dei Greci che si prestano insieme alla vendetta del cielo come insieme ne sfidarono la collera”. Di Mauro ha anche spiegato quali sono le fonti sulle quali Dante modellò la figura del suo Ulisse, così diverso da quello omerico:” Le caratteristiche dell’’Ulisse di Dante non derivano dal testo epico dell’Odissea a cui il nome di Ulisse è legato, infatti, solo alla metà degli anni ’60 del Trecento i poemi omerici furono tradotti in latino dal greco, lingua che Dante non conosceva e quindi non poteva leggere Omero. Dante conosceva l’episodio del Ciclope, di cui aveva letto nell’Eneide di Virgilio. Anche per la caratterizzazione fraudolenta di Ulisse Dante poteva appoggiarsi al poema virgiliano, ma la fortuna classica del personaggio Ulisse è dimostrata dai richiami che ad esso fanno autori come Ovidio, Orazio, Seneca e Cicerone per il quale il desiderio di conoscenza è un’inclinazione naturale nell’uomo. Anche nel Convivio Dante, elenca gli ostacoli che l’uomo incontra nel cammino di acquisizione della conoscenza: la famiglia, la vita civile”. Il professor Di Mauro ha spiegato che la figura di Ulisse si sovrappone a quella di Dante: ” Entrambi sono eroi del viaggio”. Alla dine della sua Lectio Magistralis il professor Di Mauro, insieme al professor Luigi Alfinito, ha dato vita ad una narrazione scenica recitando a memoria tutto il Canto di Ulisse. (Pubblicato su “Il Quotidiano del Sud” edizione di Salerno).
Aniello Palumbo