I masterclassers domandano ed il ministro Luigi Di Maio risponde. Ed è stato, nella Sala Green della Multimedia Valley, un incontro a tutto campo, senza riserve e senza mediazioni. Scuola, ambiente, stato di salute del Governo, innovazione e tanto altro nelle domande dei ragazzi e nelle risposte del vicepremier. Primo spunto la scuola. Intesa sì come agenzia educativa ma anche come sblocco occupazionale: “In questi giorni – ha dichiarato Luigi Di Maio – c’è stata una discussione molto accesa sulla regionalizzazione della scuola. Se passasse, e non passerà, creeremo una scuola divisa in un Paese diviso. Il blocco della regionalizzazione della scuola, tra l’altro, è il primo passo per portare a casa tanti insegnanti. Va anche aggiunto che al Sud portiamo più insegnanti se portiamo più studenti. Il tempo pieno è uno strumento in questo senso. Il tempo pieno è utile per fare attività extracurriculari e per aiutare i genitori che oggi lavorano tutto il giorno. Al Sud, ecco, c’è troppo poco tempo pieno. In questa direzione bisogna procedere”.
Resta l’ipotesi dell’autonomia a cui si lavora da tempo e che è altro argomento di grande attualità: “L’autonomia si farà – spiega il vicepremier – abbiamo tolto l’assunzione dei docenti su base regionale perché non è accettabile. Stiamo ragionando sui criteri di riparto e lanciamo lunedì a Napoli alla Federico II un Osservatorio delle Università del Sud proprio sul processo di autonomia. L’autonomia si deve fare, ma si deve fare senza danneggiare le regioni del Centro Sud e garantendo meccanismi di solidarietà che sono fin qui mancati. Cogliamo questa opportunità per fare il fondo di perequazione ed i livelli essenziali di prestazioni che aiuteranno tante Regioni in Italia ad avere servizi migliori. Spero che nei prossimi giorni ci possa essere un ulteriore dialogo con i Governatori ma anche con i Governatori del Sud che devono sedersi al tavolo dell’Autonomia perché di autonomia si deve discutere con tutte le Regioni. Un Paese sovrano è un Paese unito. Se lo disgreghiamo perdiamo la sovranità e in questo momento qualche battuta sul Sud che ho sentito e ho visto sui giornali mi ricorda quelle battute discriminatorie che certi euro-burocrati hanno fatto contro l’Italia, battute che il Sud di questo Paese non merita assolutamente”.
L’innovazione è possibile ed auspicabile in un Paese sempre più green. Su questo bisogna insistere: “Bisogna fare molto di più – dice al riguardo Luigi Di Maio – La nostra Costituzione non fa esplicito riferimento alla tutela dell’ambiente, che deve però essere un valore comune, perché funzionale alla nostra sopravvivenza. Dobbiamo costituzionalizzare questo diritto, così che ogni cittadino possa rivendicarlo, non solo per sé ma anche come istanza superiore“.
Fare politica oggi, governare un Paese oggi, è una sfida difficile che Di Maio analizza in tutti gli aspetti, sempre su sollecitazione dei masterclassers di Giffoni: “Dobbiamo considerare – dice il ministro – l’informazione come un bene comune. Oggi siamo bombardati da informazione, di ogni tipo e da ogni fonte. I social hanno dato in questo senso un’accelerazione fortissima. L’informazione la possiamo rafforzare noi, la potete rafforzare voi ragazzi se riuscirete a maturare la giusta capacità critica per selezionare le notizie, comprenderle ed individuare quelle false, quelle pericolose”.
Poi c’è il futuro del governo e quello del Movimento Cinque Stelle, di cui Luigi Di Maio è capo politico. Il ministro non si risparmia e spiega il senso del “mandato zero” e di altri punti centrali del dibattito politico di queste ore: “Conosco bene come è nata la regola dei due mandati nel Movimento – ha detto – esiste per evitare che si accumulino soldi e potere. E allora puoi fare due mandati pieni e poi devi cedere il testimone, ma un consigliere comunale di opposizione non gestisce né potere e né si arricchisce. Bloccarlo al secondo mandato significa disperdere un patrimonio di esperienza e di conoscenza. E allora in questi casi la regola dei due mandati non vale, ma per tutto il resto la regola non viene toccata”.
E poi c’è il punto della dialettica con la Lega, forza alleata al Governo: “Noi e la Lega siamo diversi – illustra – discutiamo molto e non andiamo d’accordo su alcuni temi. Per questo esiste il contratto di governo. Il presidente Conte è figura di garanzia in questo senso. Sta cercando di portare avanti un Governo con due forze politiche molto diverse e che prima del giugno dell’anno scorso non avevano mai collaborato. Cerchiamo di portare a casa dei risultati. Quando mi renderò conto che non arriveranno più i risultati, allora capirò che non ne vale più la pena. Intanto continuiamo questa convivenza che, come tutte le convivenze, è fatta di alti e bassi. Tutto qui. A settembre dobbiamo portare a casa il taglio definitivo di 345 poltrone da parlamentari, una riforma storica: parlamentari che approvano un taglio di loro stessi. Si tratta di una riforma che spaventa molti e questi molti stanno provando a buttarci giù come governo”.
È stato uno dei mutanti degli X-Men (Quicksilver), ha recitato con Lady Gaga (in American Horror Story) e ha partecipato ad una delle serie più controverse e potenti degli ultimi tempi (Pose). Ai giffoners Evan Peters racconta questo e molto altro durante la sua giornata al Giffoni 2019, in cui è stato premiato con l’Experience Award. “Questi ragazzi sono davvero splendidi, educati ed entusiasti di avermi qui almeno quanto lo sia io di partecipare. Li ho visti tutti sorridenti e preparatissimi, si capiva che le domande le avevano pensate a lungo. E io voglio restare qui, non mi va di tornare a casa”.
Una giurata dal Qatar gli ha domandato quale genere preferisse e lui ha risposto: “Li amo tutti ma non mi dispiacerebbe fare qualche bella commedia”. Nel frattempo si è incuriosito per le magliette a tema presenti in sala, da Dirty dancing, uno dei suoi film preferiti, ad uno dei motti di American Horrory Story, ossia “Normal people scares me”. E a chi gli ha chiesto come si superano le fragilità, Peters ha risposto: “Anche a me agita molto essere qui oggi tra di voi, mi sento molto vulnerabile ma lo ammetto e lo condivido, così mi sento meglio, capito, accettato”. L’attore non ha solo risposto alle domande dei ragazzi, ma ha chiesto loro quanti vorrebbero recitare, dirigere o scriver un copione. E i jurors, con un unico boato e alzando le mani, hanno urlato il nome delle città dove vorrebbero frequentare una scuola di cinema. Dal palco, Peters ha anche provato a cimentarsi con l’italiano: “Grazie, vi amo“, ha esclamato, mandando in delirio la platea.
Anche durante il Meet The Stars mattutino i giffoners si sono divertiti ed emozionati: una bambina gli ha regalato un ritratto e il 32enne attore statunitense è rimasto senza fiato. A dire il vero, ha confessato che rimanere senza fiato gli capita spesso, perché soffre d’ansia e si agita spesso: “Per superare questi attacchi cerco di fare meditazione ma per ora non ho visto i frutti del mio lavoro. Forse è come quando vuoi fare un bagno nell’acqua fredda, non ti butti tutto d’un colpo e preferisci immergerti piano piano. È una tecnica che funziona… tranne nel caso in cui a largo ci siano gli squali”.
Ironico, generoso, Peters ha ricordato uno degli episodi più buffi sul set della serie tv The Office: “Prima della scena in cui Steve Carell doveva sculacciarmi sulla fotocopiatrice mi ha avvisato: ‘Evan, sei pronto? Guarda che io faccio sul serio’. Non potevo far altro che annuire e così ci ha dato dentro… inutile dire che è stato uno dei momenti più surreali della mia vita e non solo perché sono un fan sfegatato della serie”. Di serie in serie, Peters ha confermato che non sarà nel prossimo capitolo della serie tv American Horror Story: “Niente paura, però – ha aggiunto – continuerò a seguirla da spettatore”. Il progetto più grande in arrivo è il biopic I am woman: “Non vedo l’ora di vedere com’è venuto – ha confessato – perché ne sono davvero orgoglioso”. Un sogno? “Tornare in Deadpool,dove ho fatto un piccolo cameo. E, magari – ha concluso – entrare a far parte del Marvel Cinematic Universe”.
“Stiamo scoppiando, ti possiamo abbracciare?”: occhioni lucidi, la voce tremante e un bigliettino speciale tra le mani. È così che i jurors hanno scelto di accogliere Paolo Conticini, l’amico del Festival che è tornato a Giffoni per ripercorrere i suoi venticinque anni di carriera e ritirare l’EXPERIENCE AWARD.
Sorriso inconfondibile, semplice e raffinato, è uno dei volti più amati della televisione e del cinema italiano. “Tornare qui è sempre magico – ha sottolineato –, questo è un luogo di grande energia, con una purezza e un entusiasmo fantastico”. Dagli esordi ai successi che lo hanno consacrato al grande pubblico, con quella sensibilità preziosa per un incontro contraddistinto da una spontaneità capace di sprigionare emozioni. “Sono sempre stato molto fortunato – ha raccontato Paolo Conticini ai jurors curiosi -. Non avevo mai studiato quando per la prima volta mi trovai alle prese con questo lavoro. Voi invece dovete studiare, dovete approfondire e pretendere di conoscere, lasciatevi entusiasmare da quella curiosità che aiuta a crescere e vivere liberi”.
Da ragazzino abbandonò gli studi, per impegnarsi con i lavori più disparati: “Non avevo le idee chiare, sono stato imbianchino, rappresentante di abbigliamento, insegnante in una palestra, buttafuori in discoteca – ha continuato –. E poi la meraviglia di cominciare a recitare, di lasciarmi invadere da questa arte che mi riempie e mi rende un uomo felice”. Senza filtri: dagli esordi ai successi che lo hanno consacrato al grande pubblico, con quella sensibilità preziosa in un incontro contraddistinto dalla spontaneità capace di regalare grandi emozioni. “Provaci ancora Prof è il lavoro a cui sono più affezionato – ha confidato ai giurati -. Gaetano è uno di quei personaggi che mi somiglia di più, quando ho letto per la prima volta la sua storia mi sono rivisto. Abbiamo tante cose in comune”.
Un percorso contraddistinto dalla tenacia e dalla costanza, Conticini ha fatto della televisione, del cinema e del teatro la sua estensione naturale. “Devo tanto a Christian De Sica che è stato il mio maestro, ma tra le tante persone con cui ho lavorato mi piacerebbe ricordare Carlo Vanzina – ha aggiunto – con lui c’è stata sin da subito un’empatia molto forte. Era un grandissimo signore, sapeva quello che voleva sul set. E gli ho voluto un gran bene”. Un ricordo emozionato quello di Conticini, che si è raccontato con sensibilità e intensità: “Oggi ho ancora tanti sogni da realizzare, ma quello che ho fatto finora è già un sogno ad occhi aperti”. Magia e emozione, perché al Festival gli incontri sono speciali e gli abbracci te li porti dentro. “Mi piacerebbe mettermi alla prova – ha spiegato -, adoro la commedia e mi piace ridere e far ridere ma vorrei vedermi in un ruolo drammatico”. Il Festival di Giffoni è casa sua e l’affetto dei jurors è arrivato forte e chiaro come il più dolce dei momenti e come la più forte delle emozioni. Nelle foto da conservare, nei biglietti che Paolo Conticini ha conservato con cura, nelle foto e nelle domande di chi nei suoi occhi ha ritrovato un amico. L’amico del Festival: “Mi chiedono sempre che messaggio voglio lasciare, ma la verità è che quando vengo qui sono io a riceverne infiniti: siete puri, e vi porto tutti con me”.
“Non vedevo l’ora di tornare: Giffoni è davvero il Festival più importante di tutti. Trovarmi tra voi, realmente appassionati e innamorati del cinema, oltre che preparati, dà una speranza per il nostro mestiere e il nostro futuro”: così Vittoria Puccini, radiosa sul palco della Sala Verde della Multimedia Valley, chiude la quinta giornata delle Masterclass Cult. Un incontro incentrato sul mestiere di attrice e sul valore del racconto audiovisivo: “Il cinema è cultura, serve a far riflettere ed è importantissimo che a farlo siano i più giovani. Voi sarete gli artisti del domani. Voi e i vostri sogni costituite il carburante che alimenta il mondo”.
Volto amato del piccolo schermo, il mondo del cinema e quello del teatro, l’interprete di indimenticate pellicole italiane e internazionali ha ripercorso con i giurati le tappe salienti della sua carriera di attrice: “Non sono mai stata un’adolescente particolarmente consapevole di sé. Avvertivo una vaga sensazione di galleggiamento, perché incapace di riconoscermi in una forma che potesse confermarsi finita. Lo stesso approccio all’arte, alla recitazione, è stata una vera casualità. In quegli anni, difatti, lavoravo presso un’agenzia di moda e avevo intrapreso gli studi universitari. Ciò nonostante, superata una lunghissima selezione per il ruolo nel lungometraggio di Rubini nel 2000, ebbi la parte e alla fine del primo giorno di set avvertì una sensazione che ancora oggi ricordo nitidamente: mi sentivo appagata, piena di adrenalina, totalmente a mio agio. A partire da quel preciso momento ho capito che avrei voluto fare l’attrice e vivere del mio talento”.
Una propensione al mondo della recitazione che non è stata comunque esente da fasi di bassa e di difficoltà: “Sarei bugiarda se vi dicessi che non ci sono stati momenti in cui non mi sono sentita all’altezza, di avvertire come un’onta la certezza di non essere piaciuta al regista di turno”, ha proseguito l’attrice. “Ci sono dei fasi così dure, in cui ti ritrovi a pensare che probabilmente non è quella la strada giusta, in cui ti tiene in piedi solo una sconfinata passione. Se non ci fosse quella, se non si decidesse di accettare per principio la precarietà del mondo dell’arte, non si andrebbe da nessuna parte”.
In autunno sarà nella miniserie Mediaset Il Processo di Stefano Lodovichi, nel ruolo (“bellissimo”, dice) la PM Elena Guerra, impegnata nelle indagini sull’omicidio di una 17enne. A fine agosto, invece, inizieranno le riprese del nuovo film di Francesco Amato, 18 Regali, con Edoardo Leo – ospite del Giffoni 2019 il 24 luglio – e la giovanissima Benedetta Porcaroli: la storia è quella di Elisa Girotto, mamma quarantenne morta di tumore che ha lasciato alla figlia appena nata 18 regali per i suoi compleanni per accompagnarla fino alla maggiore età.”Una storia intensa, d’amore e di speranza” dice l’attrice. Una speranza nel futuro come quella che si respira qui a Giffoni.
“Di tanti si sente dire ‘Bravi, ma arrivati nel momento sbagliato’. Voi no! Da qualche anno avete capito dove sta andando la musica e colpite nel segno, sempre un passo davanti agli altri”: esordisce Luca Dondoni, giornalista e speaker radiofonico introducendo i Boomdabash. Loro invece si mostrano sempre un passo indietro, schivi, ma con i piedi ben saldi per terra. “Ascoltiamo tantissima musica fatta da artisti molto diversi da noi, impariamo da loro e capiamo”. Mentre per scegliere con chi collaborare si affidano soprattutto all’istinto: “A volte nasce prima la produzione e poi capiamo chi sono gli artisti più adatti a collaborare su quel pezzo. Altre volte, come con Alessandra Amoroso e Loredana Bertè, costruiamo i pezzi intorno a quegli artisti, perché ci piacciono particolarmente, li ascoltiamo tanto e alla fine facciamo il pezzo per poter collaborare con quella persona”.
Dondoni però non molla il punto: “Sì, ma come fate a capire cosa c’è nel vostro futuro?” “Da noi, in Europa, va ciò che negli States andava 4-5 anni fa, è il mercato americano a dettar legge. Qualche sera fa, dopo uno spettacolo, si chiacchierava del music biz, qualcuno diceva di un possibile ritorno del rap anni 90, come negli Usa. Quando va negli Usa, dopo qualche anno viene recepito dai mercati musicali europei. Così è successo per la trap, così per ogni genere. Noi Boomdabash cerchiamo di fare il contrario: se la musica va da una parte, cerchiamo di esplorare altrove. Ora va il reggaeton e noi abbiamo fatto un pezzo più blues”.
Raccontando del grande successo avuto dopo Sanremo, se li ha cambiati, sottolineano che erano sul mercato già da 15 anni, erano maturi artisticamente e anagraficamente, poco inclini ormai a farsi dire dal discografico o manager di turno cosa fare e come gestire il successo. E soprattutto si sono tenuti la scena underground, hanno coccolato la loro fan-base. Hanno sempre tenuto aperte le porte di casa ai fan, hanno ascoltano con loro i pezzi in anteprima, ricevuto anche consigli. Questa atmosfera familiare, le sale di registrazione piene di gente, amici, parenti li ha aiutati. “Le radici, il Salento, sono un’attitudine, non un accento sbagliato quando si parla, e noi ci sentiamo salentini sino al midollo”.