E’ tradizione, ormai, considerare il 19 marzo un giorno particolare: tra regali e dolci tipici viene festeggiato , in occasione di San Giuseppe, il papà. La prima documentazione ufficiale di tale evento si ebbe nel West Virginia, negli Usa ,nel 1908. Ma le sue origini risalgono a molti anni addietro!
Fin dall’antichità, infatti, la figura e il ruolo del “pàter” latino , del “πατέρ (pater) = padre” greco avevano un grandissimo potere negli ambiti familiare, religioso, economico e sociale. Il pater familias esercitava in pieno lo ius vitae ac necis (diritto di vita e di morte) sui figli; al momento della loro nascita, decideva se “tollere” e quindi, riconoscerli ed accettarli in famiglia, oppure “suscipere” e quindi abbandonarli; in famiglia, inoltre, era l’unico a possedere piena personalità giuridica e a godere del pieno potere sul patrimonio. Una figura nettamente autoritaria, i suoi ordini erano indiscutibili ed esigevano assoluta obbedienza. Procedendo negli anni, con l’età imperiale e, forse, grazie all’ influenza del Cristianesimo, si giunse ad una sorta di livellamento tra le figure genitoriali, confermato dall’avvento della Costituzione, la quale ha sostituito la vecchia “patria” potestas nella potestà “dei genitori”. Gradualmente si è giunti, poi, da un padre autoritario ad un uomo autorevole, che mostra le sue debolezze, non ostenta la sua superiorità e cerca di creare un rapporto di fiducia con i suoi figli.
E’ proprio nel periodo dell’antica Roma che alcuni riconducono la nascita del dolce tipico della festa del papà : la zeppola di San Giuseppe. A Roma, durante le feste in onore delle divinità del vino e del grano, definite “Liberalia”, si era soliti preparare frittelle di frumento cotte nello strutto bollente.
Altri, invece , ne propongono un’origine cristiana, riportandoci alla fuga in Egitto della Sacra Famiglia:
Giuseppe, per il mantenimento di Gesù e di Maria, intraprese anche il mestiere di friggitore. Alle origini latine, i più , riportano anche lo stesso termine “zeppola”: da “serpula” ,ovvero serpente, per la tipica forma attorcigliata; ma , ovviamente, non mancano altre numerose teorie sull’orgine etimologica della parola.
Infine, la prima ricetta ufficiale di questo buonissimo dolce venne presentata da Ippolito Cavalcanti nel 1837, nella sua raccolta di “Cucina teorico- pratica”. Col passare dei tempi, la ricetta, ha subito delle modifiche, arrivando anche alla nascita di versioni light, non fritte, per i più attenti alla linea.
Per la pasta choux: 250 gr di farina ’00 ; 250 gr di acqua; 50 gr di burro ; 5 uova medie; 5 gr di sale; 1 lt di olio di semi di girasole per friggere. Per la crema pasticcera : 460 gr di latte intero fresco; 6 tuorli medi; 150 gr di zucchero; 30 gr di farina ’00; 20 gr di fecola. Per decorare: zucchero a velo; amarene sciroppate
Una delle varianti più particolari di questo dolce tipico partenopeo è quella di origine cilentana, in cui si preparano dei dolci più semplici, le ciambelle fritte, prive di crema.
Per i “ciambelloni di S. Giuseppe usavamo le patate, farina, lievito, buccia grattugiata di un mandarino e un uovo. Facevamo scaldare le patate, che poi schiaccia amo a fine cottura. Le uniamo alla farina, all’uovo, alla buccia grattugiata del mandarino e al lievito. Quando la pasta era pronta le davamo la forma delle ciambelle e la lasciavamo lievitare. Dopodiché le friggevamo e le rigiravamo nello zucchero” racconta una donna del luogo.
“Oggi era anche la festa di S. Giuseppe, patrono di tutti i frittaroli cioè venditori di pasta fritta…Sulle soglie delle case, grandi padelle erano poste sui focolari improvvisati. Un garzone lavorava la pasta, un altro la manipolava e ne faceva ciambelle che gettava nell’olio bollente, un terzo, vicino alla padella, ritraeva con un piccolo spiedo, le ciambelle che man mano erano cotte e, con un altro spiedo, le passava a un quarto garzone che le offriva ai passanti… ”, scrive Goethe nel 1700 di passaggio a Napoli.
Nisia Orsola La Greca Romano