Compie 30 anni la parola “Slow Food” e con essa l’intuizione di Carlo Petrini di un movimento nato come Arcigola e che poi, sotto il simbolo della chiocciola, ha fatto tanta strada sia in Italia che su scala globale. Sono passati tre decenni da quando il 3 novembre 1987 “Il Gambero Rosso”, all’epoca supplemento settimanale del quotidiano “il Manifesto”, pubblicava il Manifesto Slow-Food. Quell’inserto debuttava con molte firme prestigiose, oltre a quelle di Carlo Petrini e Stefano Bonilli (fondatore del Gambero Rosso) – che dirigevano insieme quelle pagine – e del direttore Valentino Parlato, di intellettuali e dirigenti politici: Folco Portinari (che materialmente scrisse l’appello), Dario Fo, Francesco Guccini, Gina Lagorio, Ermete Realacci, Sergio Staino, come ricorda ora il libro “Slow Food – Storia di un’utopia possibile” di Carlo Petrini in conversazione con Gigi Padovani (edito da Giunti e Slow Food Editore – 352 pagine, 18 euro).
Nel tempo, accanto alla chiocciola nel logo dell’associazione fondata a Bra, si è perso quel trattino che univa il cibo all’idea di lentezza e soprattutto di consapevolezza ma non l’idea. Sono milioni i contadini, gli artigiani, i vignaioli, i cuochi, i pescatori e gli studenti dell’Università di Scienze Gastronomiche, partecipi alle iniziative sotto lo slogan “Buono, pulito e giusto”, inventato nel 2005 ancora una volta da un leader come risulta essere a livello internazionale Petrini, nominato “Ambasciatore Speciale della Fao in Europa per Fame Zero”. Di fatto un influencer ante litteram, protagonista carismatico di appuntamenti, come il Salone del Gusto e Terra Madre, che non sono più eventi per gourmet, ma un atto sociale, politico ed economico.